Il programma di Veltroni

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Domande e dubbi sul programma di Veltroni • da La Stampa del 27 febbraio 2008 (di Franco Bruni)
Sarà opportuno, più in là, cercare il pelo nell’uovo. Per ora è più utile constatare che il programma del Pd presentato lunedì è centrato con chiarezza sugli interventi strutturali dei quali l’Italia ha bisogno; e riflettere sulle difficoltà di realizzarlo.
Difficoltà economiche. Il programma cerca di rassicurare sul fronte della finanza pubblica. L’elenco delle «azioni di governo» comincia con la riduzione della spesa, insiste sulla lotta all’evasione, vuol ridurre il debito utilizzando il patrimonio delle pubbliche amministrazioni. Ci sono però tante promesse di riduzioni di imposta, variegati incentivi, numerose spese e misure preziose ma costose, come quelle per rendere sostenibile la flessibilità dell’occupazione. Nel migliore dei casi è un programma finanziariamente coraggioso, dove il Quintino Sella di turno dovrà usare rigore e farsi perdonare il cipiglio dimostrando che il governo, oltre a controllare la quantità della finanza, ne migliora la qualità. La congiuntura internazionale non aiuterà Quintino. Le previsioni continuano a peggiorare: oltre alla riduzione del gettito fiscale derivante dal rallentamento ciclico, c’è il pericolo di dover finanziare salvataggi eccezionali. Confortiamoci pensando che l’Italia va molto peggio della media europea e dunque, se un nuovo governo la sblocca, può crescere un filo di più anche se l’Europa rallenta. La quantificazione e la copertura degli oneri del programma vanno comunque chiarite al più presto.

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Ci sono poi difficoltà politiche. Il programma pesta i piedi a gruppi di interesse agguerriti. Il che gli fa onore. Se l’elettorato riterrà che sia fattibile, potrebbero arrivare i voti per provare a governare. Per essere eletti i voti si contano. Ma quando poi si governa, i nemici si pesano. Bastano pochi prepotenti per creare gravi ostacoli.

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Qualche esempio. Decentrare la contrattazione dei salari, differenziare i trattamenti territoriali, premiare la produttività, adoperare i contratti di lavoro per superare la dicotomia fra precari e inamovibili, evitare gli incidenti di lavoro con presidi locali accurati invece che con parole altisonanti: tutto ciò significa modificare il ruolo dei sindacati, sia dei lavoratori che dei datori di lavoro, riducendo l’influenza dei protagonisti dei grandi tavoli romani, carichi di suggestione e visibilità politica. Protagonisti che verranno ridimensionati anche se le politiche del lavoro saranno decise cercando il consenso più direttamente nel Parlamento e nel Paese e meno nelle estenuanti trattative corporative. Una bella frase del programma dice che per aumentare la produttività del sistema le parti sociali devono «cambiare comportamenti e riformare le regole della loro rappresentanza». Andrà detto ancor più chiaro?

Riformare il mercato finanziario significa urtare gli interessi di chi oggi vi opera con meno capacità, correttezza, trasparenza, ma con più protezioni e influenze lobbistiche. La riforma dell’Università, così come delineata nel programma, è una magnifica rivoluzione: ma significa grandi difficoltà e opposizioni degli atenei e dei professori meno capaci, per non parlare degli studenti cui sono indigeste, per esempio, le «rette fissate liberamente», anche se ben compensate da borse di studio. La liberalizzazione dei servizi pubblici locali significa togliere potere e denaro a enti e gruppi che li gestiscono in modo opaco e inefficiente. Fare riforme che coinvolgono tassisti, camionisti o agricoltori significa predisporsi a resistere alle loro proteste violente e illegali. Che cosa ci assicura che un governo Pd avrà la forza di procedere?

La realizzabilità del suo programma dipende anche da quella delle riforme elettorali e istituzionali che contiene: esse aumentano la forza con cui un governo può vincere la battaglia con i gruppi di interesse. Richiedono però un accordo con Berlusconi il cui programma, quando sarà dettagliato, è comunque cruciale per il destino di quello del Pd. Se pesterà i piedi anche lui (e non solo ai politici concorrenti), non potrà esser molto diverso: le cose da fare, a dirle chiare, son quelle che sono. Converrà allora che i due contendenti ne ribadiscano alcune insieme, prima delle elezioni, rendendo così più credibile l’impegno a farle davvero. Magari, se occorresse, governando per un tratto assieme. Se invece il programma del Pdl sarà altisonante, ma opaco e tranquillizzante, Veltroni avrà due reazioni possibili. Nascondere ancor più che il suo, invece, morde: sarebbe una disastrosa gara al ribasso, magari mascherata dietro i falsi muscoli di un ritorno alle reciproche insolenze. O criticare con didascalica precisione il buonismo dell’avversario, promettendo cooperazione per affrontare con coraggio i tanti, forti scontenti che nascono dalla realizzazione di qualunque buon programma.

Il programma di Walter? Solo banalità
• da Il Giornale del 27 febbraio 2008, pag. 9
di Geronimo
Sul paese soffia un vento pericoloso. Un vento che la amara ironia di Edoardo de Filippo avrebbe definito «il mondo delle parole». Parole vuote per la loro banalità e tragiche per al loro ipocrisia. E con quel vento veleggia Walter Veltroni che come colomba dal desìo (di potere) chiamata elenca il programma di monsignor De la Palisse.
Bisogna ridurre le tasse tagliando dal 2009 un punto l’anno dell’Irpef per tre anni, dice Veltroni. Ma in questo ultimo biennio l’ex sindaco di Roma dov’era quando il governo le tasse le aumentava? Il suo annuncio di oggi ci ricorda la vecchia gag di Totò quando, dovendo pagare cinque lire al macellaio, gliene chiedeva prima altre cinque in prestito e con quelle poi pagava il suo debito. A prescindere dalla comicità dell’annuncio, come farà Veltroni a ridurre le entrate visto che la crescita economica, che non è tra i suoi dodici punti programmatici sta crollando? Mistero della fede. E continua.
Spendere meglio spendere meno. C’è qualcuno che sostiene il contrario, e cioè spendere peggio e spendere di più? Come si vede è il trionfo dell’ovvio, ma anche pacatamente e serenamente della bugia, visto che colla riforma delle pensioni approvata dal governo Prodi la spesa previdenziale è aumentata nel solo interesse di pochi. Ed ancora, sì all’ambientalismo del fare con termovalorizzatori, rigassificatori e Tav. Ricordiamo male o il governo poco più di un anno fa ha revocato le concessioni per l’alta velocità lungo le tratte Genova-Milano e Milano-Venezia? E così è per tutto il resto. Nelle università la parola d’ordine dev’essere «premiare il merito», dice ancora Veltroni. Chi è che nel suo programma invece vuole «premiare il demerito»? E chi non vuole ridurre l’area del lavoro precario, possibile solo con una crescita economica più robusta e più stabile in linea colla media dei paesi della zona Euro? Eppure Veltroni, che come Bruto è uomo d’onore, tace sui drammatici limiti della nostra crescita economica che stanno portando il paese alla deriva, aumentando la precarietà e frantumando, colle crescenti e drammatiche diseguaglianze sociali, la coesione nazionale.

Per non parlare della sicurezza, cui sono stati tagliati ultimamente i fondi finanche alla protezione civile, come ha denunciato con angoscia Bertolaso. Eppoi ricordiamo male o Walter Veltroni è stato il vicepresidente del Consiglio del governo Prodi nel triennio ’96-98, durante il quale nulla di quanto oggi annunciato è stato non solo fatto ma neanche lontanamente pensato? In politica serietà e credibilità vanno di pari passo. E per finire l’ipocrisia politica. Veltroni dice no all’alleanza coi socialisti e dice sì a quella con Di Pietro. I lettori sanno che noi non siamo adusi all’insulto e alle insinuazioni e respingiamo, dunque, l’idea pur suggestiva e largamente sussurrata nei corridoi del Palazzo secondo cui Antonio Di Pietro e Matteo Colaninno siano, su versanti opposti, due esattori politici ai quali non si può dire di no. Allo stesso tempo, però, diciamo con convinzione che il rifiuto del Pd di allearsi con un partito che si chiama socialista ed è parte integrante del partito socialista europeo è l’antica vocazione comunista alla pulizia etnica di una grande cultura politica, già praticata nella Russia di Stalin e a piene mani nei primi anni ’90 proprio dal braccio armato di Antonio Di Pietro. Ed è inquietante vedere nei tg di questi ultimi giorni troneggiare dietro Di Pietro il volto di Leoluca Orlando Cascio, quello che accusò Giovanni Falcone in diretta televisiva di esser colluso colla mafia. E così tutto si tiene. Veltroni nel 1989 votò contro il riarresto dei boss mafiosi del maxiprocesso usciti dal carcere per decorrenza dei termini, mentre Leoluca Orlando infangava Falcone che quel processo aveva istruito e Di Pietro smontava la storia del movimento socialista italiano. È il caso davvero di dire che il buon Dio prima li fa e poi li accoppia.

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Le liste civiche (Grillo) si stanno formando. Le prime sono a Pescara, Roma e Vicenza per le comunali. E in Friuli Venezia Giulia e Sicilia per le regionali. Le banche straniere vendono i nostri titoli di Stato. Le nostre esportazioni diminuiscono. Il debito pubblico aumenta, 1626 miliardi di euro. I costi dello Stato aumentano. Le promesse elettorali sono meno tasse e più lavoro. Avremo più tasse e meno lavoro. Il Paese è una risorsa per i politici e per la loro burocrazia di massa. Una rendita a vita con le tasse dei cittadini. Stanno divorando l’Italia. Non è vero che la classe politica è tutta uguale. Ma i pochi galantuomini che ne fanno parte la legittimano. Non si può votare il meno peggio. Non si deve perdere la speranza di un meglio. Chi vota il meno peggio legittima il peggio. Le elezioni sono anticostituzionali. Non possiamo scegliere il candidato. E nessun giornale ne parla. Nessuna televisione lo grida. Si ripete: non possiamo scegliere il candidato. Due persone stanno scegliendo i nomi dell’80% di deputati e senatori. Stanno scrivendo la Camera e il Senato. Si chiamano Veltrusconi. Sono la stessa persona, lo stesso partito, lo stesso programma, gli stessi ministri. Beppe Grillo è stato a Napoli il 23 febbraio per il Munnezza Day. Conferenza stampa con 120 giornalisti. Molte testate internazionali. 30.000 persone in Piazza Dante. Chi vuole sapere cosa è stato detto da oncologi, esperti ambientali e dell’energia deve imparare la lingua inglese o tedesca. Leggere il Die Zeit o The Herald Tribune. Il Corriere e la Repubblica gli hanno dedicato un quadratino della dimensione di un francobollo. L’informazione italiana è sotto controllo. E’ propaganda di guerra contro il popolo italiano. Tutto quello che non sapete è vero. Non leggete i giornali. Non guardate la televisione. Pensate con la vostra testa. Alzate la vostra testa.
Per un nuovo Rinascimento. V-day 25 aprile.

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