Il conclave dei 38

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ROMA — Mai dire che un vertice di maggioranza è inutile. Mai dirlo, nemmeno se, come ieri, intorno al tavolo della sala verde di Palazzo Chigi ci sono 38 persone pronte a parlare di tutto.
Tranne che, se non marginalmente ed evitando accuratamente di scendere nei particolari, dell’argomento del quale si dovrebbe parlare. Capita così che il fumantino (a dispetto delle sue placide sembianze) capogruppo dei Verdi Angelo Bonelli affronti il premier Romano Prodi ancora prima di sedersi: «Presidente, mi pare singolare che il ministro Di Pietro affermi che deve valutare come si regolerà con la mozione di sfiducia dell’opposizione sul ministro Pecoraro Scanio». Ma subito si corregge: «Anzi, lo ritengo inquietante. Guardi qua». E mette sotto il naso di un Prodi vagamente imbarazzato una pagina del blog del leader dell’Italia dei Valori dove Di Pietro, proprio lui, incenerisce gli inceneritori. Giusto un anno prima di scagliarsi contro chi non li avrebbe voluti. Massimo D’Alema abbozza un sorriso sotto i baffi. Antonio Di Pietro, che passa di lì, è una statua di sale. Idem Leoluca Orlando e Massimo Donadi.
Pannella e il Senato
Con questa premessa, si comincia. Prodi si siede: «Ci siamo tutti? Vedo che ci sono i colleghi ministri, gli esponenti della maggioranza. E vedo…. vedo pure i portavoce…». Sono in sei o sette, che se fossero furbi si squaglierebbero subito. Dal fondo del tavolo, così lungo che se ci fosse la nebbia dell’altroieri a Roma le sagome si scorgerebbero appena, si leva la voce del socialista Enrico Boselli: «Veltroni è in ritardo. Non sarebbe il caso di aspettarlo?». Non è il caso, secondo Marco Pannella, che tira subito fuori il rospo: «Presidente, qui c’è il solito problema di legalità delle Camere, la questione dei nostri senatori regolarmente eletti ancora non è risolta». Prodi tenta di ammansirlo: «La materia è degna di attenzione, ma è competenza del parlamento, nella fattispecie del Senato….». Ma il leader radicale insiste: «Presidente…». Allora ci prova Alberto Manzione a chiudere la questione: «In ogni caso si deve risolvere il 21 gennaio». A quel punto Prodi capisce che la riunione rischia di prendere una piega imprevista e lancia un’occhiata gelida al gruppetto di persone accalcate dall’altra parte del tavolo, dietro la file delle persone sedute: «Adesso cominciamo. Ma pregherei i portavoce di lasciare la sala». Ciò che accadrà dopo lo ascolteranno comunque 74 orecchie.
Due delle 74 sono quelle del rifondarolo Franco Giordano, che non aspetta di meglio che essere ascoltato. Si è preparato bene. Ha solo sbagliato un passaggio: la sorpresa se l’è bruciata il giorno prima. Perciò, quando evoca nientemeno che il presidente francese Nicolas Sarkozy, c’è chi giura di scorgere Clemente Mastella che alza gli occhi al cielo. Sarà vero o è un’illusione ottica? «Qui c’è l’emergenza prezzi e salari. Prendiamo esempio da quello che ha fatto quando Sarkozy era ministro, nel 2004. Bisogna convincere le imprese a contenere i prezzi: diversamente il governo provveda per via amministrativa». Questa volta c’è chi giura che sia Lamberto Dini a scuotere la testa. Giordano è un ruscello in piena: «Si deva mandare un segnale preciso al Paese, alle classi più deboli. Dopo il risanamento, è arrivato il tempo della redistribuzione». Ma Rifondazione non aveva sempre criticato la linea dei due tempi? Chi ci capisce è bravo.
Laconicamente, Oliviero Diliberto informa tutti che a lui le parole interessano poco e aspetta «di vedere i fatti». E Fabio Mussi spiega che «c’è un profondo disagio sociale soprattutto fra chi ha un lavoro precario» ma dopo aver invocato la redistribuzione dice che è pure necessario rilanciare la competitività. Come? Ma «con l’innovazione e la ricerca», ovviamente. A quel punto ci si aspetta la bordata di Dini, e anche in questo caso c’è chi giura di aver visto qualcuno, dalla parte opposta a Prodi, tapparsi le orecchie. Anche lui invece si limita a piantare la propria bandierina: «Non si può risolvere tutto con interventi fiscali. Qui va compressa la spesa corrente. E poi, le Province, che cosa aspettiamo ad abolirle?»
Padoa-Schioppa e i 5 anni
Nel frattempo è arrivato Walter Veltroni. E quando prende la parola non vola una mosca. Il suo parere è che «bisogna lanciare un messaggio chiaro sui salari» ma anche «sullo sviluppo». Soprattutto, «dare segnali di unità e comunicare bene». Manco fosse facile. Concedendo infine soddisfazione a chi da Veltroni aspettava solo questo, dichiara: «Per quanto riguarda la legge elettorale vorrei trovare condivisioni nella maggioranza, ma so che è difficile. In ogni caso sono impegnato a trovare una soluzione per evitare il referendum». I Verdi lo guardano in cagnesco. Mastella non è da meno.
Tommaso Padoa-Schioppa s’incarica di tornare all’ordine del giorno per rispondere a chi, come Giordano, pretende ora dal governo il cambio di passo. «Siamo qui da appena venti mesi: è un terzo del tempo che la legislatura ci concede. Se resteremo cinque anni potremo cambiare il volto del Paese, arriveremo al pareggio di bilancio, avremo le risorse per fare molte cose. Non c’è bisogno di nessuna svolta, ma soltanto di continuare su questa strada», dice.
Francesco Rutelli ha taciuto per tutto il vertice. Massimo D’Alema invece parla: «La questione dei bassi salari è molto importante, ma altrettanto lo è quella della competitività e dell’innovazione. La contrapposizione fra imprese e mondo del lavoro è sbagliata. Anche per questo l’azione di governo dev’essere rilanciata, e nei confronti di tutto il Paese. Occorre identificare due, tre, pochi interventi chiari e percepibili dalla gente. Soprattutto, l’azione del governo deve restare separata dal destino della legge elettorale, che è materia soltanto del Parlamento». E potrebbe anche limitarsi a questo. Ma per essere ancora più chiaro spezza un’altra lancia in favore di Prodi: «Nel centrosinistra sono rappresentate istanze diverse, ma siamo riusciti a trovare una sintesi. Se questa sintesi cade, cadono le ragioni stesse della maggioranza. Ma credo che queste non siano venute meno. Perciò la coalizione va rafforzata».
Il premier tira un sospiro di sollievo. Se non fosse per i rifiuti della Campania, un problema che Bonelli vorrebbe risolvere definitivamente facendo «come a San Francisco, o a New York, dove ci sono 40 mila persone impegnate nella raccolta differenziata e nel riciclaggio» e non c’è un inceneritore… Finissero tutti così, i vertici di maggioranza… (Sergio Rizzo per il Corriere)

Una raccolta delle espressioni più esilaranti del nostro Prode

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