La Finanziaria

Decisivi i voti dei senatori a vita. Senza di loro il governo non avrebbe avuto la fiducia e non sarebbe stata approvata la manovra. La Finanziaria è stata approvata in via definitiva dal Senato. Il via libera alla manovra è arrivato con 162 sì e 153 no. Approvato anche il disegno di legge di bilancio con 163 voti favorevoli e 154 contrari. In precedenza si era completato il voto di fiducia sui singoli articoli con l’approvazione del terzo articolo con 163 voti a favore contro 158.
SENATORI A VITA – Il terzo voto di fiducia sulla Finanziaria aveva incassato il sì di tutti e sei i senatori a vita presenti in aula a Palazzo Madama. Avevano votato sì all’approvazione del terzo e ultimo articolo della legge Finanziaria i senatori Giulio Andreotti, Carlo Azeglio Ciampi, Emilio Colombo, Rita Levi-Montalcini e Oscar Luigi Scalfaro. L’ex presidente della repubblica Francesco Cossiga, assente alla prima chiamata, aveva aggiunto il suo sì quando era stato chiamato per la seconda volta. Assente, il senatore a vita Andrea Pininfarina.
prodi_ap.jpg 0jt8ubfq-180x140.jpgMa nel Palazzo la crisi a gennaio viene data quasi per certa. La crisi nella calza della Befana. Verso un governo del Presidente.Le leggi imbottite Non è rituale la protesta di Giorgio Napolitano contro la caotica «congerie » di provvedimenti disomogenei che hanno reso irriconoscibile la Finanziaria: votata sì, ma a scatola chiusa e solo per un senso di (residua) disciplina di coalizione. Se è vero infatti che si ripete negli anni la denuncia dei presidenti della Repubblica di un ricorso «abnorme» allo strumento della fiducia, stavolta le parole del capo dello Stato si appuntano su una deplorevole prassi che diventa metodo, escamotage consapevolmente adottato per aggirare gli ostacoli insormontabili piazzati sul cammino del governo da una maggioranza rissosa. E mai come quest’anno non solo la Finanziaria, ma anche il tormentato «decreto sicurezza» abbandonato per manifesta incapacità di trovare una sintesi tra posizioni inconciliabili, hanno subito la logica inaccettabile dell’«imbottimento », sottratto ai controlli che un Parlamento sovrano deve esercitare.Imbottire una legge significa riempirla di contenuti impropri, caricando ogni frammento di un valore di merce di scambio per soddisfare le variegate e divergenti smanie identitarie delle singole componenti della coalizione. Il «decreto sicurezza» non è decaduto per motivi tecnici, come nella maggioranza si è un po’ goffamente tentati di affermare per spiegare l’inconcepibile errore della norma cosiddetta «antiomofobia» in una legge dedicata a tutt’altra materia. No, questa legge si è dimostrata vulnerabile e indifendibile perché nel trambusto finale si era pensato di bilanciare a sinistra con quella norma- sotterfugio un testo che altrimenti la stessa sinistra non avrebbe accettato. L’idea sottintesa a questo modo di procedere è che un comma, un’aggiunta dell’ultimo momento, un emendamento bizzarro inserito di soppiatto, una mezza dichiarazione di princìpi, una modifica marginale, un dettaglio da lasciar passare furtivamente, potesse ampliare, come in un supermercato ben fornito, la gamma dei gusti da sollecitare e soddisfare. E’ lo stesso metodo, come ha ieri esaurientemente spiegato Gian Antonio Stella sul «Corriere », che ha inzeppato la Finanziaria. Ed è il metodo che il presidente della Repubblica ha giudicato «abnorme», lesivo delle corrette procedure democratiche, politicamente devastante.Ecco perché prendersela con la farraginosità dei regolamenti parlamentari, come si evince dalla risposta del presidente del Consiglio a Napolitano, è sì legittimo e comprensibile, ma non tiene conto della novità che il metodo dell’insaccamento smisurato ha trascinato con sé quest’anno. Colpa di meccanismi che rendono incerta e precaria la decisione politica (ma allora perché temporeggiare sul percorso delle riforme auspicabili?), ma soprattutto colpa di una maggioranza che non vuole prendere atto della costitutiva precarietà di una formula politica che costringe alla coabitazione gli opposti e sopravvive solo al prezzo di fare della mediazione estenuante un dogma indiscutibile. E che alimenta il sospetto (e l’ostilità) su chiunque si adoperi per uno scenario politico diverso dove, oltre a leggi insaccate, non ci siano più nemmeno schieramenti imbottiti in modo «abnorme» di frammenti diversi. Pierluigi Battista per il Corriere della Sera 

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